Chiesa di San Martino d'Albaro: l'edifico della chiesa e il territorio
La chiesa di San Martino è situata sul versante nord orientale della collina di Albaro, zona suburbana appena oltre il torrente Bisagno e al di fuori delle diverse cinte murarie. Una collina vicina alla città, ricca di corsi d'acqua e di strette “crêuze” che scendono lungo i crinali, verso il mare, nel Medioevo di proprietà vescovile e dei monasteri benedettini, a vocazione agricola (orti soprattutto). In età moderna questo territorio è costellato di piccoli insediamenti sparsi e di residenze di ville; si tratta di isolate dimore, “l'altra città” che gareggia in bellezza con quella situata entro le mura.
La conformazione a insediamenti rurali e piccoli borghi sparsi si mantiene nei secoli, anche dopo il 1875, quando i sei comuni della Val Bisagno sono annessi alla città ed è redatto il “Piano” di ampliamento di Genova verso Levante. E' solo con il Novecento che la zona di San Martino si trasforma, prima con la costruzione del nuovo ospedale (dal 1907) e poi, dal 1950 soprattutto, con l'apertura della strada di collegamento veloce con i quartieri dell'estremo Levante (corso Europa). E' infatti solo dopo la seconda guerra mondiale che tutta l'area è toccata da una abnorme crescita edilizia e un notevole incremento demografico.
Oggi è assai difficile individuare frammenti di insediamenti antichi, che sono limitati, oltre a interrotti percorsi pedonali, al vicino monastero di Santa Chiara e alle abitazioni di via Vernazza e di via Pontetti.
Mentre gli homines di San Martino de Erclo sono chiamati già nel 1128 a prestare servizio di difesa nella guardia civitatis, la chiesa di San Martino è documentata in atti della Curia genovese dal 1143: è una pieve rurale (infatti nel 1164 è indicato il plebejo S. Martini de Ircis), istituita probabilmente da non molti anni, che fa parte dell'organizzazione ecclesiastica del territorio fuori della città, oltre il suburbium che si estende fino al Bisagno. La pieve, sede del fonte battesimale, ha giurisdizione su altri istituti religiosi e comprende un vasto territorio fino ai confini della pieve di Nervi, più antica. Insieme alla perduta pieve di San Martino di Sampierdarena segna quelli che Ennio Poleggi definisce termini civitatis, “posti di solito sotto la protezione del santo vescovo di Tours” (militare della guardia imperiale che garantiva l'ordine pubblico, divenne vescovo cristiano e morì a Tours nel 397).
La vasta area che va dal Bisagno al torrente Sturla non è più città in senso stretto sotto il profilo giuridico ma un territorium che dipende comunque da essa per la difesa e altri aspetti amministrativi. Nei documenti medievali la nostra San Martino, da non confondere con San Martino de Via in sponda destra del Bisagno, è citata con il toponimo Jrchis (plebs Jrchis), variamente declinato (de Erclo, de Hirchis, de Irchis, de Yrco, degli Archi) che forse si deve riferire alla presenza di greggi di capre (capra hircus), a sottolineare il paesaggio rurale e l'economia pastorale. Dalla fine del XVI secolo usuale diventa il toponimo “d'Albaro”.
Dell'edificio medievale e delle modifiche nei secoli successivi non resta oggi nessuna traccia. Sappiamo che la chiesa aveva un proprio ospedale (sotto il portico del quale nel 1207 si svolge una lite), struttura di accoglienza per malati, pellegrini e viandanti. Il piccolo complesso sorge infatti sul percorso della viabilità romana che risaliva il colle proprio fino alla pieve.
Alla metà del XIV secolo San Martino risulta essere chiesa collegiata con relativo capitolo: in un documento del 1359, infatti, si legge che alcuni dei canonici cedono a Simon Boccanegra un terreno dove verrà eretto il suo palazzo in prossimità della cappella di Santa Tecla.
Alla fine del XVI secolo, benché restaurato e modificato nel tempo, l'edificio medievale risultava in cattive condizioni tanto che nella sua relazione il visitatore apostolico Monsignor Francesco Bossi lo giudicò inadeguato alle nuove esigenze del culto tridentino, soprattutto in relazione all'aumento della popolazione che afferiva alla pieve. Dopo alcuni interventi immediatamente successivi, nel 1614 la chiesa venne ricostruita ex novo in dimensioni più ampie, modificando e cancellando del tutto lo schema dell'edificio originario.
Di questa fase conosciamo dalle fonti un dettaglio della facciata: un piccolo atrio al centro, sorretto da colonne, tipico anch'esso di un edificio rurale. Proprio a partire dalla metà del XVII secolo l'interno venne arricchito dagli affreschi di Bernardo e Valerio Castello, quest'ultimo tra i protagonisti della stagione del Barocco a Genova, oltre che entrambi parrocchiani della chiesa di San Martino.
Ulteriori interventi risalgono al 1846 quando la costruzione fu allungata di otto metri verso il lato di ingresso, eliminando del tutto la facciata precedente del XVII secolo. In questa occasione il numero degli altari salì da sette a undici. Questi lavori, che ebbero un impatto non trascurabile sulla struttura dell'edificio, sono ricordati nell'iscrizione posta all'esterno, sopra l'ingresso centrale: l'epigrafe in particolare ricorda la “pietatem incolarum”, cioè la pietà dei committenti e finanziatori dell'intervento, provenienti da un territorio agricolo e comunque al di fuori dalla città.
Come è noto infatti, il termine, derivato da colӗre (coltivare e abitare), ha un'accezione originaria strettamente legata alla terra. A questa trasformazione si aggiunsero nuove decorazioni pittoriche e scultoree all'interno circa dieci anni dopo.
Ai primi del Novecento furono costruiti un nuovo coro e un'abside semicircolare più ampia creando una zona più spaziosa rispetto al presbiterio precedente molto meno profondo. Interventi più recenti come la sostituzione dell'antico altare centrale e modifiche a quelli laterali hanno ulteriormente alterato la spazialità interna. Permane tuttavia la connotazione originaria della chiesa seicentesca, semplice e sobria, tipica di una frazione rurale. L'edificio infatti presenta una navata unica, senza transetto, coperta da una volta a botte, collegata da un ampio arcone alla zona del presbiterio. Solo le cinque arcate che racchiudono gli altari laterali interrompono l'uniformità delle pareti. La facciata di colore rosa, neoclassica, è scandita da lesene e conclusa con un timpano triangolare.
Anna Maria Dagnino
Luisa Cavallaro